Ricordo a tutti che sabato 30 ritorna l'appuntamento delle ARANCE DELLA SALUTE in tantissime piazze italiane.
Con 9 euro riceverete 3 Kg di arance rosse di sicilia. L'incasso aiuterà la ricerca contro il CANCRO.
visita il sito: www.arancedellasalute.it
Purtroppo a Savigliano pare il banchetto non ci sarà; è invece reperibile a Saluzzo, Fossano, Cervere, Revello, Dronero, Cuneo, etc etc.
Jean.
giovedì 28 gennaio 2010
lunedì 25 gennaio 2010
IL PESO DELLA FARFALLA
Se volete regalarvi un paio d'ore di poesia narrativa, vi consiglio la lettura dell'ultimo libro di Erri De Luca, "IL PESO DELLA FARFALLA".
Un testo che narra una storia di montagna, ma scende nelle viscere dell'esistenza umana, con una delicatezza che la scrittura di De Luca trasforma in emozione grezza e purissima.
Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di assistere presso il Circolo dei Lettori di Torino ad un progetto di spettacolo che prevedeva la lettura del testo accompagnata da musiche dal vivo e campionature sonore di Brian Eno.
Inutile raccontarvi che avendo amato il testo, ho doppiamente apprezzato l'allestimento teatrale (anche se nella prima parte a parer mio la dolcezza dello scritto non trovava corrispondenza con la foga recitaviva degli attori).
Segnalo a chi fosse interessato che lo spettacolo teatrale "completo" vedrà il suo debutto nazionale a Torino in aprile. Chi fosse interessato me lo faccia sapere perchè a breve intendo prenotare i biglietti!
Jean
Info: www.assembleateatro.com
7/8/9/10/11 aprile 2010 – ore 21.00
Cavallerizza - Maneggio Reale
Via Verdi, 9 - Torino (TO)
Assemblea Teatro in
IL PESO DELLA FARFALLA
debutto nazionale
regia di Renzo Sicco
interpreti Sax Nicosia, Gisella Bein, Marco Pejrolo
musiche dal vivo eseguite da Edoardo De Angelis (primo violino dei Muse) e Anna Barbero (pianoforte)
campionature sonore di Brian Eno
“Il peso della farfalla” è una storia di montagna, o meglio di quella parte di montagna che vuole e riesce ancora a mettere distanza dal nostro vivere quotidiano. Quella montagna che ha altra logica, millenaria, altri ritmi, ma soprattutto conserva un residuo primitivo di regole e valori.
ingresso intero € 15,00 – ridotto € 10,00
Un testo che narra una storia di montagna, ma scende nelle viscere dell'esistenza umana, con una delicatezza che la scrittura di De Luca trasforma in emozione grezza e purissima.
Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di assistere presso il Circolo dei Lettori di Torino ad un progetto di spettacolo che prevedeva la lettura del testo accompagnata da musiche dal vivo e campionature sonore di Brian Eno.
Inutile raccontarvi che avendo amato il testo, ho doppiamente apprezzato l'allestimento teatrale (anche se nella prima parte a parer mio la dolcezza dello scritto non trovava corrispondenza con la foga recitaviva degli attori).
Segnalo a chi fosse interessato che lo spettacolo teatrale "completo" vedrà il suo debutto nazionale a Torino in aprile. Chi fosse interessato me lo faccia sapere perchè a breve intendo prenotare i biglietti!
Jean
Info: www.assembleateatro.com
7/8/9/10/11 aprile 2010 – ore 21.00
Cavallerizza - Maneggio Reale
Via Verdi, 9 - Torino (TO)
Assemblea Teatro in
IL PESO DELLA FARFALLA
debutto nazionale
regia di Renzo Sicco
interpreti Sax Nicosia, Gisella Bein, Marco Pejrolo
musiche dal vivo eseguite da Edoardo De Angelis (primo violino dei Muse) e Anna Barbero (pianoforte)
campionature sonore di Brian Eno
“Il peso della farfalla” è una storia di montagna, o meglio di quella parte di montagna che vuole e riesce ancora a mettere distanza dal nostro vivere quotidiano. Quella montagna che ha altra logica, millenaria, altri ritmi, ma soprattutto conserva un residuo primitivo di regole e valori.
ingresso intero € 15,00 – ridotto € 10,00
Etichette:
Aria di Torino,
consigli di lettura,
libri,
spettacoli,
teatro
giovedì 21 gennaio 2010
mercoledì 20 gennaio 2010
venerdì 15 gennaio 2010
martedì 12 gennaio 2010
Il mio Paese 2
Chapeau ad Efrem!
Aggiungo tuttavia che proprio non mi riesce di immaginare un barlume di redenzione, riscatto, rinascita per quella terra dannata; si vede solo rassegnazione: alla barbarie, ché di questo si tratta.
L’unica - extrema ratio - sarebbe resettare tutto e impiantare nuovi germogli di senso civico, educazione, cultura, in modo da creare ciò che laggiù non è mai, e ripeto mai, esistito: la convivenza civile. Lo stato, il grande assente, dovrebbe agire come amorevole vivaista, attento guardiano, implacabile potatore. Un processo lungo, certo, i cui frutti comincerebbero, forse, ad essere visibili ai nostri nipoti. Forse.
Perché si ha un bel dire che “lo stato siamo noi”: c’è noi e noi, ipocrita e stolto chi lo nega. Dove diavolo è finita la responsabilità individuale? Questo stato (la maiuscola non la merita) ha metastasi dappertutto (stucchevole a questo punto, oltre che sgradevole, disputare sulla provenienza del tumore). Come può un malato, per di più cronico, essere medico di se stesso?
Resettare: espressione orribile nella sua asettica (inumana) derivazione informatica e terribile nelle sue implicazioni ed evocazioni, lo ammetto. Ma era per ricordare la bassezza del linguaggio del nostro tempo, in cui il bombardamento della finzione e della strumentalizzazione mediatica ha portato a una disumanità omologata (accettata), che si esprime nell’incapacità di indignarsi quando conta davvero, di sollevare obiezioni. Di tollerare che un (illeggibile) quotidiano nazionale titoli in prima pagina, con beffarda ironia, “Stavolta i negri hanno ragione”!!! Anche questa è barbarie, barbarie del linguaggio che ammutolisce e annichilisce. Francamente non so come si possa arginarla. Inevitabilmente uno guarda, osserva, legge, sente, e ogni volta la rabbia che gli monta dentro implode. E allora? Smettere di sollevare il tappeto per non vedere la montagna di immondizia? Fuggire lontano e farsi anacoreta? Sarebbe venir meno alla responsabilità individuale.
In (s)compenso avrei ancora una domanda: e adesso a quelli là chi le raccoglie le arance, e i pomodori quando tornerà l’estate?
Toccherà farlo noi? Magari germoglierebbe qualcosa. O resteremmo contagiati.
Gg
Ps1 bravo ancora Efrem a ricordare che mass media si pronuncia come si scrive: non è affatto pedanteria, ma doverosa precisazione. Anche il pressapochismo del linguaggio produce danni.
Ps2 consiglio di lettura attinente a quanto dibattuto: “L’uomo che piantava gli alberi”, di Jean Giono, Salani. Un racconto che si legge sulla tratta per Torino o prima di addormentarsi, io ce l’ho e a chi volesse lo presto volentieri.
Aggiungo tuttavia che proprio non mi riesce di immaginare un barlume di redenzione, riscatto, rinascita per quella terra dannata; si vede solo rassegnazione: alla barbarie, ché di questo si tratta.
L’unica - extrema ratio - sarebbe resettare tutto e impiantare nuovi germogli di senso civico, educazione, cultura, in modo da creare ciò che laggiù non è mai, e ripeto mai, esistito: la convivenza civile. Lo stato, il grande assente, dovrebbe agire come amorevole vivaista, attento guardiano, implacabile potatore. Un processo lungo, certo, i cui frutti comincerebbero, forse, ad essere visibili ai nostri nipoti. Forse.
Perché si ha un bel dire che “lo stato siamo noi”: c’è noi e noi, ipocrita e stolto chi lo nega. Dove diavolo è finita la responsabilità individuale? Questo stato (la maiuscola non la merita) ha metastasi dappertutto (stucchevole a questo punto, oltre che sgradevole, disputare sulla provenienza del tumore). Come può un malato, per di più cronico, essere medico di se stesso?
Resettare: espressione orribile nella sua asettica (inumana) derivazione informatica e terribile nelle sue implicazioni ed evocazioni, lo ammetto. Ma era per ricordare la bassezza del linguaggio del nostro tempo, in cui il bombardamento della finzione e della strumentalizzazione mediatica ha portato a una disumanità omologata (accettata), che si esprime nell’incapacità di indignarsi quando conta davvero, di sollevare obiezioni. Di tollerare che un (illeggibile) quotidiano nazionale titoli in prima pagina, con beffarda ironia, “Stavolta i negri hanno ragione”!!! Anche questa è barbarie, barbarie del linguaggio che ammutolisce e annichilisce. Francamente non so come si possa arginarla. Inevitabilmente uno guarda, osserva, legge, sente, e ogni volta la rabbia che gli monta dentro implode. E allora? Smettere di sollevare il tappeto per non vedere la montagna di immondizia? Fuggire lontano e farsi anacoreta? Sarebbe venir meno alla responsabilità individuale.
In (s)compenso avrei ancora una domanda: e adesso a quelli là chi le raccoglie le arance, e i pomodori quando tornerà l’estate?
Toccherà farlo noi? Magari germoglierebbe qualcosa. O resteremmo contagiati.
Gg
Ps1 bravo ancora Efrem a ricordare che mass media si pronuncia come si scrive: non è affatto pedanteria, ma doverosa precisazione. Anche il pressapochismo del linguaggio produce danni.
Ps2 consiglio di lettura attinente a quanto dibattuto: “L’uomo che piantava gli alberi”, di Jean Giono, Salani. Un racconto che si legge sulla tratta per Torino o prima di addormentarsi, io ce l’ho e a chi volesse lo presto volentieri.
lunedì 11 gennaio 2010
ISTANBUL
Una città che è porta di due continenti,autentico concentrato di cultura, variegato contenitore, abitata da cittadini che fanno dell'accoglienza il loro primo comandamento.
Un viaggio che personalmente ha sfatato un mare di luoghi comuni e false credenze che la mia ignoranza aveva costruito sul popolo turco, sui musulmani, sulla convivenza tra cultura araba e occidentale.
Insomma una grande e piacevole sorpresa che si tramuta in consiglio per i lettori: andate a ISTANBUL!!
J.
Il mio Paese
Dopo una lunga assenza dal blog sento il bisogno di tornare a scrivere su questo spazio.
I mass media (si pronuncia come si scrive, è latino; non lo preciso per spocchia ma solo perché non lo sapevo fino a pochi mesi fa) in generale e la televisione in particolare ci hanno abituato a vedere sempre più immagini violente e ‘impressionanti’. La soglia della nostra impressionabilità si è alzata. E’ nella natura umana spingersi sempre oltre. E’ il motore del progresso!
Il filtro dello schermo ci ha paradossalmente avvicinato a qualsiasi parte del nostro pianeta ma ci ha allontanato dalle sue emozioni.
Chi si impressiona davvero vedendo morire altri esseri umani o vedendoli agonizzanti?
Si è innescato uno strano meccanismo per cui piangiamo come fontane vedendo che Lassie non riesce a tornare a casa ma ci sembra normale che si muoia per avere pestato una mina a Kabul.
L’altro giorno ho visto in un TG degli esseri umani terrorizzati che mi hanno ricordato gli abitanti di Sebreniza mentre aspettavano che le milizie serbe facessero pulizia etnica (tutto rigorosamente filmato!?).
Mi sono interrogato sul perché la loro immagine mi colpisse più di tante altre che in questi anni ho potuto ‘ammirare’.
Sarà stata la compassione? O una forma di empatia? Sto invecchiando?
La verità è che ho pensato con terrore che quelle persone si trovavano in Italia.
Il mio Paese.
Per la prima volta da quando è finita la II Guerra Mondiale, nella nostra nazione degli esseri umani, neri e poveri per loro sfortuna, sono stati rastrellati e caricati su autobus e treni per fare in modo che sparissero.
Naturalmente è stato fatto per il loro bene. Dobbiamo proteggerli.
Da chi?
Da che cosa?
Da noi?
Temo che nasca il recondito pensiero: ‘Lì succedono quelle cose’. Credo che questo razzismo verso dei razzisti si commenti da solo. E’ il bue che dice all’asino cornuto.
Non voglio entrare nei particolari della vicenda: lo sfruttamento degli altri esseri umani, le condizioni di vita disumane, l’intervento dell’Ndrangheta, i retroscena di una certa forma di sviluppo economico perché temo che si rischi di perdere di vista il cuore del problema.
Al di là di qualsiasi considerazione di ordine morale il vero dramma è che nel 2010 in Italia lo Stato (quello con la S maiuscola) non è in grado di assicurare le più elementari garanzie della sicurezza della persona. Questa è in primo luogo una sconfitta dello Stato.
Quello che insomma mi spinge a scrivere è il profondo disagio che provo nel vedere questa immagine del mio Paese. L'unico posto in questo pianeta in cui sono sicuro di volere vivere. Si, è molto retorico, ma sono orgoglioso di essere Italiano. Sento la mia italianità come una parte del mio corpo. Purtroppo abbiamo scoperto che sotto il tappeto c’è una montagna di immondizia.
E aggiungo che il dato più inquietante, al di là della gravità del fatto in sé, sia l’assordante silenzio, rotto solo dal Papa e in ritardo dal Presidente Napolitano, che lo ha accompagnato.
...Il mio Paese.
Efrem
I mass media (si pronuncia come si scrive, è latino; non lo preciso per spocchia ma solo perché non lo sapevo fino a pochi mesi fa) in generale e la televisione in particolare ci hanno abituato a vedere sempre più immagini violente e ‘impressionanti’. La soglia della nostra impressionabilità si è alzata. E’ nella natura umana spingersi sempre oltre. E’ il motore del progresso!
Il filtro dello schermo ci ha paradossalmente avvicinato a qualsiasi parte del nostro pianeta ma ci ha allontanato dalle sue emozioni.
Chi si impressiona davvero vedendo morire altri esseri umani o vedendoli agonizzanti?
Si è innescato uno strano meccanismo per cui piangiamo come fontane vedendo che Lassie non riesce a tornare a casa ma ci sembra normale che si muoia per avere pestato una mina a Kabul.
L’altro giorno ho visto in un TG degli esseri umani terrorizzati che mi hanno ricordato gli abitanti di Sebreniza mentre aspettavano che le milizie serbe facessero pulizia etnica (tutto rigorosamente filmato!?).
Mi sono interrogato sul perché la loro immagine mi colpisse più di tante altre che in questi anni ho potuto ‘ammirare’.
Sarà stata la compassione? O una forma di empatia? Sto invecchiando?
La verità è che ho pensato con terrore che quelle persone si trovavano in Italia.
Il mio Paese.
Per la prima volta da quando è finita la II Guerra Mondiale, nella nostra nazione degli esseri umani, neri e poveri per loro sfortuna, sono stati rastrellati e caricati su autobus e treni per fare in modo che sparissero.
Naturalmente è stato fatto per il loro bene. Dobbiamo proteggerli.
Da chi?
Da che cosa?
Da noi?
Temo che nasca il recondito pensiero: ‘Lì succedono quelle cose’. Credo che questo razzismo verso dei razzisti si commenti da solo. E’ il bue che dice all’asino cornuto.
Non voglio entrare nei particolari della vicenda: lo sfruttamento degli altri esseri umani, le condizioni di vita disumane, l’intervento dell’Ndrangheta, i retroscena di una certa forma di sviluppo economico perché temo che si rischi di perdere di vista il cuore del problema.
Al di là di qualsiasi considerazione di ordine morale il vero dramma è che nel 2010 in Italia lo Stato (quello con la S maiuscola) non è in grado di assicurare le più elementari garanzie della sicurezza della persona. Questa è in primo luogo una sconfitta dello Stato.
Quello che insomma mi spinge a scrivere è il profondo disagio che provo nel vedere questa immagine del mio Paese. L'unico posto in questo pianeta in cui sono sicuro di volere vivere. Si, è molto retorico, ma sono orgoglioso di essere Italiano. Sento la mia italianità come una parte del mio corpo. Purtroppo abbiamo scoperto che sotto il tappeto c’è una montagna di immondizia.
E aggiungo che il dato più inquietante, al di là della gravità del fatto in sé, sia l’assordante silenzio, rotto solo dal Papa e in ritardo dal Presidente Napolitano, che lo ha accompagnato.
...Il mio Paese.
Efrem
venerdì 8 gennaio 2010
venerdì 1 gennaio 2010
Capodanno
Iscriviti a:
Post (Atom)