Come delocalizza la GM
Storie di ordinaria globalizzazione nell’industria automobilistica.
In questi giorni la Commissione Europea ha approvato la domanda presentata dal governo belga per assistere i 2.834 operai metalmeccanici licenziati dalla General Motors Belgium e da quattro suoi fornitori. La decisione di chiudere l’impianto di Antwerp dove si produceva la Opel Astra è stata motivata con il crollo della domanda dovuto alla crisi economica. L’assistenza ai lavoratori consiste nella disponibilità di circa 9 milioni 600 mila euro per politiche attive, ovvero formazione, riqualificazione, ricollocamento e sostegno alla creazione d’impresa. La somma è parte del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), nato nel 2006 per “sostenere coloro che hanno perso il lavoro a seguito di mutamenti strutturali del commercio mondiale”.
Ora la domanda passerà al Parlamento Europeo e successivamente al Consiglio per l’approvazione finale.
Sempre in questi giorni, i media indiani seguono le vicende della fabbrica General Motors di Halol, nel Gujarat, dove l’azienda sta sostituendo i 1.600 lavoratori in sciopero da un mese. La protesta è nata per il rifiuto della direzione di riconoscere il sindacato eletto dagli operai e così arrivare a un accordo su vari punti: i salari troppo bassi, tra i 47 e i 92 centesimi di dollaro l’ora, le scarse tutele di salute e sicurezza che causano incidenti e malattie professionali, come danni gravi alla spina dorsale, i crescenti carichi di lavoro per aumentare la produttività senza compensi adeguati. L’impianto di Halol produce circa 190 auto al giorno e il blocco di gran parte della produzione ha fatto perdere finora circa 1500 veicoli. Pertanto, la GM India sta tentando di reclutare altri operai, ma le proteste non si fermano.
I lavoratori in sciopero hanno ricevuto il sostegno della Federazione metalmeccanica internazionale e di alcune organizzazioni non governative statunitensi, che hanno avviato una petizione su internet affinché la direzione riconosca il sindacato e contratti su condizioni migliori.
È una storia nota di delocalizzazione, insomma, in cui una multinazionale dell’auto si ostina a perseguire una strategia di basso costo del lavoro, senza investire nella qualità del processo e del prodotto. Per questo motivo chiude le fabbriche in Europa e le apre in paesi emergenti come l’India, con l’illusione di trovare lavoratori senza diritti e senza voce.
Di Vittorio Longhi
Il sito per la petizione: http://www.globallabourrights.org/alerts?id=0332
Efrem
1 commento:
Grazie per la Notizia (questa sì che lo è) e per il link.
Gg
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