
Il tipo nella foto (un Eistein senza baffi, un Allevi senza occhiali, come preferite) si chiama Malcom Gladwell, guru americano autore di libri di successo dal taglio sociologico. L'ultimo s'intitola "Outliers" e cerca di capire come nasca e maturi un fuoriclasse. La conclusione cui perviene è che il talento è sopravvalutato, molto di più incidono l'ambiente, le circostanze favorevoli e soprattutto un'applicazione dura e tenace. Il nostro Romagnoli lo ha incontrato per Repubblica. Dall'intervista, interessante e godibile (obviously), mi limito ad estrapolare la coda, illuminante spunto di riflessione per questo inizio di settimana (e oltre). Di seguito il link per leggersela integralmente.
Potrà sembrare curioso chiederlo a uno che ha scritto una "teoria del successo", ma è una cosa così importante averlo? È necessario essere approvati da una società che giudica con questi criteri? E guardando chi ha successo oggi, non esattamente dei Beatles, non è legittimo aver voglia di fallire?
"Concordo sul fatto che il successo non sia un punto d'arrivo. Il punto d'arrivo è fare qualcosa di significativo. Non è avere ricchezza o fama, ma trovare un senso per il proprio operato. Chi ci riesce ha il vero successo. E sono meno di quelli che ottengono soldi o celebrità".
http://www.repubblica.it/2009/09/sezioni/persone/gladwell/gladwell/gladwell.html
Gg
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