lunedì 24 giugno 2013

Panem non circenses (di Gabriele Romagnoli)



LO SPLENDORE della storia sta nel fatto che a un certo punto decide di fregarsene anche di se stessa e cambia corso. Quel che per secoli era valso come legge, diventa un coriandolo. Gli anestetici si trasformano in eccitanti, i luoghi comuni in piazze dell' inedito. Il motto "Panem et circenses" era scolpito sui templi di ogni sede di potere, ma una folla inattesa ha preso lo scalpello, cancellato le ultime due parolee aggiunto un punto esclamativo: "Panem!". Gli acrobati, eventualmente, dopo cena. La sorpresa numero uno non è tanto che il re sia nudo, ma che lo si sia capito nonostante il più depistante dei travestimenti: pantaloncini, maglietta e scarpini chiodati. La sorpresa numero due è che il calcio come oppio dei popoli abbia smesso di funzionare proprio in Brasile, dove (credevamo) bastavano una palla di straccie una spiaggia per essere felicie chi siè suicidato per un gol di Paolo Rossi deve pur resuscitare per due di Neymar. Invece, c' è sempre un momento in cui le cose cambiano e gli ultimi a capirlo sono quelli che, seduti al tavolo del gattopardo, banchettano. Per questo, fatte le debite proporzioni, Blatter davanti all' estate brasiliana dimostra la cinica indifferenza di Gheddafi di fronte alla primavera araba. Da troppo tempo il sedativo funziona, come è pensabile che d' un tratto la gente si svegli? Eppure, sembrerebbe. Lo sport in genere, ma il calcio in particolare, sono stati fin qui formidabili diversivi. Hanno coperto le macchie, ma distrutto definitivamente i tessuti. Paesi impresentabili hanno allestito vetrine fasulle dietro cui regnava l' oscurità. I governanti invitati in tribuna d' onore, gli inviati in quella stampa, il pubblico sul divano di casa, hanno preferito non guardare oltre il confine dello stadio. L' esempio del Mundial argentino è forse il più clamoroso, ma non l' unico. La dittatura di Videla continuava a torturare nelle galere segrete a breve distanza dal campo sul quale Kempes e compagni regalavano momenti di gioia ai sottomessi. Con beata ingenuità un attaccante del Chievo di nome Pellissier durante una conferenza stampa disse: «Ho conosciuto il calcio con quel mondiale, che intanto succedesse altro in quel Paese non l' immaginavo: perché non ce l' hanno detto?». Perché nessuno ebbe la forza di disertare il circo e assaltare il forno. Perché ai popoli viene raccontata la comprovata bugia che l' organizzazione di una Olimpiade o di un Mondiale è un' occasione per la crescita economica. Di chi? Di una congrega che si spartisce gli appalti. Per gli altri: briciole avvelenate. A giorno due si scopre che il fiume dell' indotto è un rigagnolo. A fine manifestazione restano ecomostri da demolire con gli esplosivi o consegnare agli squatter. La Grecia già pericolante si è inflitta il colpo di grazia con le Olimpiadi di Atene nel 2004 e proprio ieri si è arresa all' evidenza del tracollo. Un Mondiale (o un' Olimpiade) è un' opportunità sì, ma non per il popolo: per la sua casta di potere. Le consente di comprarsi la legittimazione internazionale (salvo boicottaggi). Putin ha voluto e ottenuto i Giochi invernali del 2014 e il campionato di calcio del 2018 (con la sola opposizione di Femen e Pussy Riot). Mostrerà al mondo la sua stanza dei balocchi, ma secondo l' agenzia statunitense Standard & Poor' s sette città ospitanti rischiano il crac finanziario per costruire gli impianti. Era questa la prima necessità dei loro abitanti? Saranno loro a guadagnarci o qualche faccendiere con la cazzuola amico dello zar? Il Qatar ha da poco abolito le corse coi cammelli guidati da baby fantini denutriti sostituendoli con robot e organizzerà i Mondiali del 2022 per dimostrare al pianeta i suoi progressi. Di cui gode una parte limitata della popolazione, rigorosamente maschile. Qualunque cosa uno pensi del governo Monti, almeno di questo va dato atto al decaduto premier: una delle sue prime decisioni fu di bloccare la candidatura olimpica di Roma, con grande scorno del decaduto sindaco Alemanno e della sua numerosa famiglia. Lo fece pronunciando una frase ineccepibile: «Non sarebbe coerente impegnare l' Italia in quest' avventura che potrebbe mettere a rischio il denaro dei contribuenti». Perché di questo si tratta: giocare d' azzardo con denaro altrui, sapendo che al tavolo ci sono pure un paio di bari che vinceranno comunque. Questo sta facendo il Brasile. Senonché un milione di persone ha fatto irruzione nella bisca. Noi ci stupiamo. Anche perché, lo si ammetta, eravamo convinti che Rio fosse la locomotiva del Sudamerica e Dilma Rousseff un leader ammirevole. Solo tre giorni fa in una delle tracce per il tema della maturità si invitava il candidato a ripercorrere le vicende che hanno portato alla "fase di significativo sviluppo economico dei Brics", cinque Paesi tra cui il Brasile. Poi arriva il video di una giovane donna a raccontarci con la semplicità con cui si spiega la vita a un bambino di quattro anni che le cose stanno diversamente: la sanità è mala, la criminalità dilaga, l' istruzione latita. Insomma tutti i peggiori luoghi comuni. Tranne uno: il calcio non rimedia, neppure per un minuto, a nessuno di questi problemi. L' esistenza, come dire, è finita in fuori gioco.

Gabriele Romagnoli, LA REPUBBLICA; 22/06/2013


1 commento:

claramenteparlando ha detto...

Pollice alto per Romagnoli sempre attento e puntuale!