martedì 31 agosto 2010

Eataly a NY



Da La Stampa

OSCAR FARINETTI

Il primo dubbio, che poi è stato anche la mia prima rivelazione, l’ho avuto a Union Square. Un banco di frutta vendeva pere del New Jersey e io ne acquistai una con la speranza - nemmeno troppo inconfessata - che non avrebbe retto il paragone con le nostre. Dire che, assaporandone la polpa zuccherina, io sia letteralmente caduto dal pero è un fin troppo facile gioco di parole, però rende l’idea.

Se una delle chiavi della grandezza americana è prendere da ciascuno il meglio che sa dare, e darlo quindi all’intera società, l’Eataly che oggi apre a New York sposa questo spirito. Metà prodotti statunitensi, metà prodotti di casa nostra e savoir-faire italiano al 100 per cento. Sempre. Così carne, pesce, verdura, farina, latte e uova saranno Made in Usa: perché sono prodotti straordinari, accuratamente selezionati, e ci danno il vantaggio di tenere ben saldo il principio «eataliano» di Chilometro Zero, ovvero di privilegiare prodotti del territorio. L’altra metà dei cibi sugli scaffali e nei ristoranti sarà invece italiana: tutto quanto, secondo noi, meritava di essere esportato, e non è poco.

Poiché quello che si inaugura oggi è il più vasto mercato di prodotti italiani mai visto, finora, su suolo americano, era nostro dovere mostrare - pur nel nostro piccolissimo - come mettere insieme le diversità possa dare grandi risultati. Provate, se vi capita, la bagna càuda con gli swiss chard e capirete che cosa intendo. E, se ancora avete dei dubbi, mettete nello stesso piatto una fetta di gorgonzola di Novara e una pera del New Jersey. Poi ne riparliamo.

F.

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