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giovedì 23 settembre 2010

MANGIA PREGA AMA

Film complessivamente non entusiasmante,
storia fragile che ripercorre una infinità di luoghi comuni, ma fondato su alcuni pilastri consistenti:
il cast di attori di primo lievllo, una fotografia incantevole ed una colonna sonora che (quella Sì!) mi ha entusiasmato.
Questi tre ingredienti sono ben riassunti nel video del brano di Eddie Vedder.
(non lasciatevi impressionare, il film è meno bello di questo filmato!)


Jean

martedì 31 marzo 2009

Genova sembrava d'oro e d'argento


"CE-LE-RI-NO PEZZO -DI - MERDA!"
Inizia (e finisce) così il romanzo di Giacomo Gensini dal titolo "Genova sembrava d'oro e d'argento" che Anna mi ha regalato, sapendo del mio interesse per quanto avvenne nel 2001.
L'autore è un ex celerino che ha vissuto sulla propria pelle cosa significhi spendere le domeniche sotto le curve degli stadi italiani e soprattutto che indossava una divisa nei difficili giorni del G8 di Genova.
In quel contesto propone, tra le righe di una storia romanzata, una narrazione di cosa fu vissuto da quella parte della barricata, da chi il manganello (e non solo) lo ha usato davvero, per infierire sui militanti inermi della Rete di Lilliput mentre i black block devastavano la città.
Sui fatti di quell'indimenticabile luglio 2001 ho letto molto, ma questa volta la prospettiva è differente.
La lettura di qs libro è interessante, anche se condita di un eccessivo senso di ineluttabilità di quanto avvenne.
La cosa, va da sè, non mi trova d'accordo.

"Fatto sta che le veline ottenevano un unico scopo: renderci ogni giorno più nervosi. Caricarci come molle. [...] Era il peggior modo possibile di reagire, ma anche l'unico. E non parlo della solita storia di rischiare la pelle per milletrecento euro al mese, con tutta la retorica annessa. Queste alla fine erano cazzate: l'avevamo scelto. Parlo del fatto che noi comunque eravamo e restavamo uomini. Credevano davvero che indossare un caso e una tuta ci rendesse immuni alla fatica e alla paura? Immuni alle emozioni... alla tensione, alla rabbia? No... nessuno di loro lo credeva davvero, [...] ma fingevano che non fosse né possibile né accettabile, difendendo l'ipocrita mondo immaginario raccontato in tv."
Se vi interessa, ve lo presto volentieri.
J.

mercoledì 18 marzo 2009

GRAN TORINO


Dato il titolo, avrei sognato che almeno alla fine apparissero sullo schermo i mitici Mazzola, Bacigalupo, Maroso, etc etc, ma malgrado gli INVINCIBILI non siano comparsi, questo film di Eastwood è davvero bello.
Certo Clint è fortemente invecchiato, ma la sua arte di inventare storie mai banali e soprattutto di interpretarle da "duro" con il cuore tenero sono ingredienti che fanno di GRAN TORINO una pellicola imperdibile.
Walt Kowalski è un ottantenne irascibile, scorbutico,solitario, reso tale dalle ferite che la vita gli ha inferto. Ritrova frammenti di tenerezza verso il suo cane e la sua vecchia auto GRAN TORINO. ( un po' come me con la 2 CV!)
Anni di guerra in Corea lo hanno reso insofferente verso gli asiatici, ma la Vita non smette mai di elargire lezioni, e per questo finisce per ritrovarsi a vivere in un quartiere abitato in larga maggioranza da famiglie di etnia Hmong.
La personalità apparentemente monolitica di Walt rivela nel corso del film tutte le sue molteplici sfaccettature: sarà proprio l'incontro con i giovani "diversi" a cambiare il destino dell'anziano.
Eastwood dipinge con tocco da vero artista i tratti di un'America che deve ancora oggi fronteggiare problemi quali il razzismo, i pregiudizi verso culture "diverse", il disagio giovanile che sfocia in bullismo, la solitudine degli anziani, le incomprensioni tra padre e figli, lo stravolgimento dei valori dell'Occidente, il dramma psicologico dei reduci di guerra.
Il tutto condito da venature fortemente autoironiche: a 78 anni Clint recita battute quali: "Avete mai fatto caso che ogni tanto si incontra qualcuno che non va fatto incazzare? [sputo]... Quello sono io."!

Insomma...
questa domenica si gioca TORO-SAMPDORIA, ma per vedere un "GRAN TORINO" dovete correre al cinema!!!
Jean.

venerdì 7 dicembre 2007

IDEE REGALO!


Inauguro una nuova rubrica di recensione libri che spero trovi frequenti contributi, spinto anche da un'altra motivazione.
Abbiamo un'amica (PINZA,tanto per non far nomi) che da anni, dinnanzi ad una qualunque opera di arte contemporanea recita la frase che da' il titolo a qs libro.
Il volume,suggeritomi da chi voi sapete che con i libri ha piu' feeling del sottoscritto, e' davvero interessante anche per me che di arte mi intendo come di taglio e cucito.
Eccovi un estratto di una recensione: "Francesco Bonami, uno dei più autorevoli critici e curatori di arte contemporanea al mondo, ci sfida ad «assaggiare» le opere senza pregiudizi, esattamente come deve fare chi vuole imparare a distinguere la buona dalla cattiva cucina. Con uno stile divertito e sempre irriverente, ci aiuta a capire cosa distingue un grande da un pessimo artista, cosa ha fatto sì che Marcel Duchamp o Andy Warhol abbiano superato la prova del tempo e perché invece tanta parte del lavoro di un pittore come Renato Guttuso o di uno scultore come Arnaldo Pomodoro siano in realtà ampiamente sopravvalutati.
E se è senz’altro vero che nell’ultimo secolo l’arte si è evoluta al punto da essere quasi irriconoscibile, tanto che persino un semplice orinatoio, lasciati luoghi più appartati, ha trovato un posto d’onore nella storia di questo secolo, il prezioso e spesso esilarante lavoro di Bonami ci fa capire una volta per tutte perché non è vero che potevamo farlo anche noi."
Jean

Francesco Bonami

Potevo fare anch'io (Lo)

Mondadori. - Collana: Strade blu Saggi

Formato 15x21 - Anno 2007 - EAN13 9788804567349
Argomenti: Critica d'arte
Normalmente spedito in 3-5 gg. lavorativi

Prezzo di vendita: € 15.00

mercoledì 9 maggio 2007

MIO FRATELLO E' FIGLIO UNICO

ELIO GERMANI: NON UNA STAR, MA UN ATTORE VERO

Ho fatto in tempo a vederlo prima che Cinecittà lo estromettesse.
Esaudisco per iscritto la richiesta di un commento da parte di Tota & C., così provando a fare chiarezza innanzitutto dentro la mia cabeza.
Non smonterò il plot (Rulli e Petraglia formano la più affiatata e affidabile e navigata coppia di sceneggiatori in Italia: ci sono loro dietro "Romanzo Criminale").
Non analizzerò la regia di Lucchetti (che spesso e volentieri ricorre a inquadrature ravvicinate e primi piani, come a voler anteporre la dimensione psicologica ed emotiva all'ambientazione storico-sociale che pure risulta attendibile. Anzi, forse proprio tale strategia registica scongiura schematismo e partigianeria, fermo restando che non è difficile immaginare le simpatie politiche degli artefici del film, che è comunque buono).
Tantomeno spenderò parole per Scamarcio e per quell'incantevole francesina (Diane Fleri) che m'ha fatto innamorare più di Jasmine Trinca. O per la Finocchiario (madre anche in "Lezioni di volo") e lo Zingaretti mussoliniano.
Dirò piuttosto del protagonista, Elio Germani, e del suo personaggio. Germani è la dimostrazione che si può essere bravi attori senza essere una star. La sua interpretazione ha portato a maturazione le precedenti, sebbene non fossero predominanti (penso a "Che ne sarà di noi", altro film giovanilistico e generazionale sugli anni di piombo). Già allora Germani era il ragazzo diligente, fidato, leale, consapevole che i sentimenti sono materia preziosa e delicata (di qui il suo blocco verso l'altro sesso). Vagamente conservatore ma non bigotto. Anzi, ansioso di capire, e desideroso di realizzarsi secondo le proprie intime aspirazioni. Inadeguato, pertanto, sia al rigido mondo dei vecchi che a quello caotico della contestazione.
In "Accio" Benassi ritroviamo, più marcati, tutti questi tratti. E'un personaggio che rimane impresso e piace perchè vero, per nulla stereotipato (indossa la canotiera della salute per ottemperare alle direttive materne, nelle scene estive gli si notano vistosi aloni di sudore ascellare, fa delle cazzate, cede spesso all'impulsività). Perchè sinceramente (a tratti simpaticamente) tormentato. Da che cosa? Dall'impossibilità di accordare le proprie corde interiori al complesso e variegato spartito delle relazioni interpersonali.
Il problema non è lui: il problema sono gli altri, i contesti di aggregazione dove, si badi bene, sempre di sua sponte decide di entrare, convinto ed entusiasta. E dai quali puntualmente esce tradito e deluso. In seminario rifiutano di rispondere ai suoi assillanti e legittimi interrogativi. La madre gli vieta d'iscriversi al liceo quantunque lui abbia rispettato i patti (la promozione colla media dell'8). Si smarca dai camerati prima e dai compagni poi (speculari) perchè in anticipo ne coglie la deriva brigatista (comprende cioè che la lotta armata non è al servizio dell'ideale ma ha sostituito l'ideale).
In fondo, Accio Benassi è un solitario, e un ingenuo (secondo Gramellini saranno quelli come lui a salvarci, speriamo). Ma un ingenuo con cervello. E con un cuore grande, immune da rancore: prende con sè il nipotino e torna a casa, da quella famiglia nella quale era sempre stato il brutto anatroccolo, il cenerentolo, lo scapestrato, la testa matta.
Come, presumo, il romanzo cui è ispirato ("Il fasciocomunista"), il film è una storia di formazione del protagonista, e, mediante tale processo, di educazione dello spettatore.
Accio (e il film con lui) perviene alla conclusione che per quanto il mondo là fuori faccia schifo e tenda ad omologarti od espellerti, estraniarsene vorrebbe dire lasciarlo così com'è; e le risorse per renderlo un pò migliore, e così trovare il proprio posto, sono dentro di noi e si chiamano coraggio e altruismo.
La burocrazia logora. Il fanatismo ideologico (qualunque fanatismo) conduce al baratro (Marrico). La pazienza e l'onestà (dei genitori) non avrebbero pagato. Coraggio e altruismo, ci vogliono, coraggio e altruismo.
E, come pare di cogliere nella solitaria scena finale sulla spiaggia, la capacità di andare avanti affrancati dai ricordi e tuttavia senza tradirli. A pensarci bene, organizzando e guidando l'occupazione degli alloggi popolari, quindi soddisfando finalmente la sua sete di giustizia sociale, Accio onora la memoria delle due figure che più hanno influito sulla sua crescita: l'amato fratello e l'amico Mario Nastri. Sia pure da posizioni antitetiche e con metodi egualmente sbagliati e deprecabili, il sindacalista e il nostalgico non avevano forse perseguito lo stesso obiettivo, questo obiettivo?
Gg